domenica 8 settembre 2013

ENDOMETRIOSI per non dimenticare cosa fa

Mi chiamo Alina ho 42 anni e ho l'endometriosi. Per dirla tutta, avrei dovuto parlare al passato dal 2004,da quando ho subito l'isterectomia totale ma purtroppo così non è stato. Nel 2001 dopo anni che stavo male, convivevo con febbre, dolori fortissimi durante le mestruazioni, durante i rapporti sessuali, fitte da farti piegare in due nell'arco del mese, il mio ginecologo si è deciso a ipotizzare che potessi avere l'endometriosi. Sono stata operata per una prima laparoscopia "esplorativa"  per vedere cosa c'era. Ero pienissima: l'endo aveva già preso utero, ovaie intestino e piegato l'uretere, ero già al IV stadio. Allora determinati interventi non si facevano ancora in laparoscopia e quindi dopo pochi mesi mi fecero la mia prima laparotomia per pulire il tutto. L'intervento fu complicato perchè l'endometriosi aveva cementificato tutto e furono usate anche delle forbici per liberare l'intestino. Da "pivella" della malattia ho pensato di non averne più a che fare ma mi sbagliavo di grosso. Nonostante mi avessero messo sotto pillola dopo pochissimi mesi ripresi a star male e avere grossi problemi all'intestino. All'inizio si pensava che si fosse creata un'aderenza che bloccasse e quindi dopo colonscopie dove non riuscivano ad entrare, clismi vari si decise di provare con il palloncino ad entrare nel retto per aprire l'intestino. Durante l'esame però il radiologo si accorse che la chiusura non era provocata da un'aderenza ma c'era una palla fuori che schiacciava il tutto. Passai dalla pillola al decapeptyl perchè oramai la pillola non riusciva a bloccare i dolori fortissimi. Al posto di andare in menopausa con il  decapeptyl andavo in emorragia e ogni mese dovevo bloccare il ciclo con pastiglie antiemorragiche. Dopo mesi passati veramente nel buio, il mio ginecologo, che nel frattempo non era più lo stesso, mi prospettò una doppia strada. Essere rioperata per una pulizia dove c'era pericolo per l'intestino e nei mesi dopo provare con ad avere un figlio con l'inseminazione (era stata appena approvata la nuova legge su l'inseminazione) o, se non desideravo un figlio, togliere il problema facendo un'isterectomia totale. Sono entrata in crisi: avevo 32 anni, non avevo mai pensato ad avere figli ma togliersi la possibilità così presto mi sembrava assurdo. Però stavo male le cure non funzionavano, anzi l'endo nel mio corpo galoppava contenta. Mio marito mi aiutò in questa scelta, che ancora oggi a volte mi ritrovo a pensare, egoistica. Lui aveva sposato e amava me, non un eventuale figlio, che se avessimo comunque un domani voluto, c'erano altri modi. Così pochi giorni prima del mio trentatreesimo compleanno entrai in sala operatoria, facendo la seconda laparotomia, per togliere utero ovaie intestino, con rischio di deviazione e pulizia totale. L'intervento durò tanto ed il primario di ginecologia mi salvò,all'ora, l'uretere mettendomi uno stent, perchè era completamente chiuso. Ci ho messo un po' per riprendermi, non fisicamente ma psicologicamente anzi se devo essere del tutto sincera, forse non mi sono ancora ripresa oggi. Ora pensavo veramente di non sentir più nominare questa malattia; ma mi sbagliavo ancora di grosso. Dopo un anno ho iniziato a avere coliche renali una volta al mese. Poi sono arrivata ad averle ogni quindi giorni. Il mio urologo all'inizio pensò a della sabbietta ma poi mi disse che dovevo andare da lui in pronto soccorso mentre ero sotto colica. Io non ne volevo sapere di andare ancora in ospedale ma alla fine cedetti. Responso: una palla bloccava l'uretere ed era da togliere perchè se no rischiavo il rene. Si decise per l'intervento che consisteva nel rinnesto dell'uretere in vescica. Terza laparotomia. Ora queste cose le fanno tutte in laparoscopia, meno male che la chirurgia ha fatto passi in avanti, quello che invece non è stato fatto per trovare delle soluzioni all'endometriosi. L'intervento in se andò bene ma la notte ebbi un'emorragia la mattina non sapevano se bloccarla operandomi ma decisero di aspettare e dovetti fare trasfusioni di sangue. Restai mesi con un ematoma sopra l'addome di sinistra di 9 cm x 7 cm, che mi procurò a posteriori, altri casini. Quando arrivò la biopsia della palle tolta, si scopri che c'era dentro un pezzo di ovaio; quindi questo pezzo, nonostante io dovessi essere in menopausa, lavorava in ovulazione andava a creare ancora casini. Si gonfiava durante il periodo, mi faceva venire una bella colica e poi si sgonfiava. Qui mi resi conto che la mia endometriosi era anomala. Come poteva un pezzetto così piccolo essere così forte da creare ancora casini!!! Sono stata tre volte in ospedale dopo l'intervento perchè dove avevo il versamento si creavano linfoceli. Sui primi due ricoveri passo sopra ma sul terzo no. Quello non lo dimenticherò mai, perchè ha minato la mia psiche. Rimasi in ospedale per ben 40 gg. La vescica non funzionava più e dentro avevo una palle da 8 cm che schiacciava gli organi. Mi misero un drenaggio nella schiena con un intervento cercando il punto di entrata con la Tac e mi fecero ogni sorta di esame e consulto per capire cosa avesse potuto bloccare la vescica. Nel frattempo mi insegnarono l'auto cateterismo. Un venerdì, una settimana prima che mi rimandassero a casa, senza aver trovato una soluzione all'enigma, uno dei chirurghi dei vari consulti, si presentò nella mia camera dicendomi che se mi avesse operata non  sapeva come poteva finire l'intervento. Per l'intestino ci sarebbe stata la stomia, visto che 15 cm li avevo già tolti, per il rene e l'uretere lasciò intendere che essendo già stato tagliato...c'era pericolo di togliere tutto...e poi per l'addome. Lo ascoltai, non dissi nulla e mi chiusi in me stessa. Quando uscii dall'ospedale il mio ginecologo, capendo la situazione mi consiglio di andare da uno psicologo. C'era però qualcosa che non mi quadrava. Andai dal mio medico della mutua, l'unico dottore che in vita mia, mi ha sempre capita e non considerata un malato immaginario e gli dissi di prescrivermi gli esami ormonali per due volte, li avrei fatti ogni 15 gg. Il risultato, non ero ancora in menopausa. Dentro a quel benedetto linfocele c'era un altro pezzo ovarico. Ora, negli interventi di isterectomia dovuti a endometriosi, si sa che è possibile che le ovaie possano essere esplose e dentro il corpo ci siano dei residui, infatti ho conosciuto ragazze a cui è stato detto, ma forse, come il solito, allora era troppo presto e dei casi erano successi solo in America. Anche qui mi resi conto di quanto la mia endometriosi fosse forte perchè  appena scoperto il secondo residuo il ginecologo mi rimise sotto pillola ma questa era troppo leggere e il linfocele si rigonfiò ribloccandomi l'uretere e dilatandomi il rene. Ripassai al decapeptyl. Non era possibile, stavo vivendo in un sogno. Io dovevo essere in menopausa dal 2004 ma non lo ero e per andarci veramente dovevo fare ancora quelle maledette punture! Ora sono passata ad una pillola più forte, sospendendo il decapeptyl, perchè nel frattempo sono diventata ipertesa. Ho ripreso ad urinare da sola dopo 4 mesi non si sa il motivo ma i miei problemi con l'intestino non sono finiti. Ho dovuto fare della scosse perchè l'ano non apriva più ma chiudeva solo, per questo motivo mi si è formato un rettocele in vagina (intestino che prolassa in vagina) di 2 cm.  Tutto il tratto finale dell'intestino non funzionava più ho fatto altri interventi per mettere un neuro stimolatore sacrale per stimolare i nervi che, dopo troppi interventi pesanti, si erano lesionati e quindi non facevano muovere l'intestino. Lo stesso ora mi serve anche per la vescica che a causa dell'ematoma, del rinnesto, del linfocele si è prolassata nella cupola in alto a sinistra e non si svuota del tutto. Quindi le lezioni di cateterismo mi sono riservite perchè devo farne tre al giorno. A tutt'oggi vivo ancora con dolori vari, un sacco di pastiglie pesanti per vescica e una rabbia dentro che vorrei tirare fuori in qualche modo. Ho deciso che la mia esperienza devo usarla per aiutare le altre donne anche  se poi somatizzo tutto. Spero solo nel mio cuore, che non mi succeda ancora qualche cosa, sarebbe veramente troppo, un po' di pace non si nega a nessuno!


mercoledì 9 gennaio 2013

Lettera al Presidente della Repubblica


Illustrissimo Presidente, 
sono Alina Migliori, ho 41 anni e sono affetta da endometriosi da più di dodici anni. 
E' una malattia che colpisce le donne nell’età migliore: dallo sviluppo alla menopausa, con dolori cronici, interventi chirurgici e, nella maggioranza dai casi, sterilità. In Italia sono oltre 3 milioni.
Nella fattispecie, ho subito una isterectomia totale, dopo diversi interventi invasivi che non hanno risolto con efficacia la problematica. Purtroppo anche in questo caso, l’operazione è stata effettuata in ritardo perché la malattia aveva causato danni irreparabili alle ovaie, tali da comportare l'estensione della patologia ad altri organi interni. Ho subito da allora ulteriori 4 interventi e ad oggi convivo con un neurostimolatore sacrale per consentire la corretta funzionalità dell’intestino e sono obbligata ad effettuare cateterismi, per non perdere l’uso della vescica.
Le scrivo per informarLa che in Parlamento giace da alcuni anni un disegno di legge finalizzato a rendere l’endometriosi malattia sociale e se ne attende la relativa pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Trapelano inoltre notizie che l’Inps l’abbia riconosciuta come malattia invalidante ma anche di questa circostanza non si riescono ad avere notizie certe e tanto meno una sua formalizzazione.
In Italia, purtroppo, per farsi sentire bisogna urlare e io sto urlando il mio sdegno anche per tutte le donne che, come me, sopportano in silenzio l'indifferenza delle persone e delle istituzioni incapaci di affrontare lo stato di sofferenza e disagio delle giovani, quelle che dovranno essere le madri delle nuove generazioni.
Nessuno fa niente per garantire anche a noi lo stesso diritto delle altre malattie riconosciute come il diabete, il tiroidismo, l’ipertensione, tanto per dirne alcune delle non più gravi; a queste sono state concesse tutta una serie di esenzioni per effettuare analisi e controlli periodici e sono nati centri per la diagnosi e la cura. Poi ci tocca apprendere che nell'elenco dei nuovi "livelli essenziali di assistenza", recentissimamente approvati dal Ministero della Salute, non compare l'endometriosi ma viene riconosciuta come malattia sociale la ludopatia (circa 700mila persone affette in Italia), che in questi giorni provoca una forte tensione mediatica in tutti i mezzi di comunicazione.
Non posso pensare ad uno Stato che si faccia carico di patologie assolutamente degne di considerazione ma nelle quali la componente intenzionale ne è la causa primaria e scatenante mentre persone che si trovano, in maniera assolutamente involontaria, in una condizione di mancanza di salute non trovino risposte adeguate da parte delle diverse istituzioni che dovrebbero garantire un bene costituzionalmente tutelato.
Sono quindi a chiederLe di esercitare ancora una volta la Sua riconosciuta "moral suasion" e la Sua attenzione che ha sempre dedicato ai problemi sociali per rappresentare nelle sedi competenti la mia e la nostra causa di donne malate di endometriosi.
La ringrazio sentitamente per la considerazione che Vorrà porre in essere.
Con sincera stima, Alina Migliori

venerdì 20 aprile 2012

La mia Endo II: i nervi


...i nervi, si ero giusto arrivata alla "partenza" dei nervi. Partenza per essere carini, perché a furia di interventi e appiccicume vario i nervi hanno deciso che forse era meglio non sentire più. Beati loro, viene da dire. Oltre a loro, tutto l'ultimo tratto dell'intestino e l'ampolla del retto, ha pensato bene di seguire i nervi a ruota, ma dal lato motorio. Forse è in atto uno sciopero nel mio corpo. Quel poco che è rimasto si è stufato di lavorare per gli altri e di star male ed ha deciso di incrociare le braccia. Sarò ripetitiva ma beati loro! E così dopo tutta una serie di esami si è giunti alla conclusione che potevo diventare una donna bionica: mettere il neuro stimolatore sacrale. Una specie di pace maker, che collegato al nervo sacrale S3 ti da la scossa e stimola nervi, intestino e vescica, anche se nel mio caso quella ha ripreso a funzionare da quattro anni. Almeno ora ho una buona scusa quando la gente mi dirà che sono elettrica! L'intervento è in varie fasi ma su di me si decide di saltare un passaggio perché per l'intestino è troppo poco due settimane di apparecchio esterno di prova e quindi di passare al "primo tempo", così si chiama. Viene attaccato già il filo (l'elettrodo) al nervo e non è, invece, svolazzante nella chiappa. L'inserimento dell'elettrodo viene eseguito con l'aiuto del fluoroscopio. Dopo questa fase, che può durare anche un mese, col la macchinetta esterna, viene stabilito di inserire la macchinetta, il famoso pace maker, nel corpo con successivo intervento. Da quel momento e non so per quanti anni, vivrai con le scosse e non potrai passare i metal detector in aeroporto e banche e se dovrai fare una risonanza magnetica di dovrà essere "smagnetizzato" prima. Per tutti gli altri esami, basta spegnerlo. Decidiamo la data del ricovero con successivo intervento. Sono incazzata, avevo promesso a me stessa che non sarei più tornata sotto i ferri! Il giorno stabilito mi presento con il mio valigino. Si vede che è un po' che non vengo più ricoverata; mi stavo dimenticando l'asciugamano, magari pensavo di andare in albergo! Il reparto dove sono non mette tranquillità psicologica: la maggior parte dei pazienti è in carrozzella o perché ci è nato, o per vari incidenti stradali. L'unità spinale si occupa di queste cose: recuperare le cose che non vanno. Dopo due ore di anamnesi da parte di un dottore, con tutto quello che ho avuto due ore sembrano anche poche, passo la giornata con mio marito. Antonio, che mi fa compagnia. Alle 18 arriva la cena; ma chi ha fame a quell'ora. Io mangio un po' di pasta e Antonio, mangia la carne, visto che a pranzo non ha mangiato nulla. Alle 19 lo caccio, anche perché deve attraversarsi tutta la città per tornare a casa. "Ci sentiamo dopo cena" gli dico. Alle 20.00 mentre sto leggendo il mio libro entra l'infermiera e mi chiede se mi hanno già preso la vene per l'antibiotico che devo fare. Le rispondo di no e dopo poco la vedo rientrare in stanza con una collega. Mi guarda le braccia e mi dice che ho delle brutte vene. Strano, dico io, perché dono il sangue e nessuno si è mai lamentato e avendo fatto 8 interventi chirurgici non ho mai avuto problemi. Mi mette il laccio emostatico a destra, anche se io le avevo dato il braccio sinistro, quello dove di solito mi prendono le vene, e inizia a guardarsi in giro smarrita. Chiede alla collega se secondo lei la farfallina rosa va bene. Allora io dico una cosa. Tu puoi anche essere la più maldestra e incompetente a prendere una vena ma, davanti ad un paziente devi avere le palle. Non puoi far vedere che hai paura e che non sai quello che fai! Mi infila dentro l'ago ad un millimetro al minuto, fermandosi più volte. Finalmente apre bocca l'altra infermiera, anche se a pensarci col senno di poi, se taceva era meglio. Le chiede se è tanto che non prende più una vena perché ne ha appena rotta una. Ma taci, cavolo! In quel preciso istante non so cosa il mio cervello abbia pensato, perché io non ho assolutamente sentito male quando lei armeggiava con la vena. Non sono neanche riuscita a dire che stavo male che nel giro di un secondo sono svenuta e ho avuto una crisi convulsiva. Al mio risveglio, prima di capire dove ero e cosa ci faceva tutta quella gente davanti a me che mi chiamava e gridava di aprire la bocca, di aprire gli occhi, ho trovato un esercito di infermieri che mi guardava ad occhi sbarrati. Della crisi ricordo solo che continuavo a pensare ad una parola che dovevo dire, e sicuramente ero che non stavo bene, e che più pensavo alla parola e più mi agitavo e sbattevo. Questo naturalmente ricostruito dopo un po' che mi hanno detto ciò che era successo: una crisi vagale. Stavo malissimo quando mi sono ripresa, se così si può dire. Pressione 60 su 70, male alla testa, tipo attacca di cervicale e una nausea pazzesca. E' stato chiamato il neurologo ma non è uscito, non mi conosceva, così ha detto, bastava il monitoraggio tutta la notte. Mi auguro per lui che non abbia sempre suoi parenti in ospedale, perché se no dubito che conosca le persone che stanno male nei vari reparti. Ho passato una notte da schifo, sia per il mal di testa sia per la nausea. Ho dovuto chiamare per urinare l'infermiera perché ero attaccata ai monitor e con la pressione sotto zero non potevo di certo alzarmi. La notte è stata lunga non ho chiuso occhio e ho visto passare i minuti, i secondi. In tutto questo casino sono riuscita a telefonare ad Antonio con una voce cadaverica, ma se non lo facevo era peggio perché mi avrebbe chiamato lui e si sarebbe preoccupato ad una mia non risposta, raccontargli un po' grossolanamente cosa era successo e dirgli che ci saremmo sentiti la mattina dopo, per fargli sapere come stavo. Immagino come abbia passato la notte. La mattina si sono presentati i dottori che mio marito e mia mamma erano già presenti. Naturalmente quando sono entrati in camera per chiedermi cosa mi fosse successo, loro sono usciti. Cosa mi è successo? E cosa ne so io! La dottoressa mi ha detto che non mi avrebbero fatto l'intervento in programma ma una cosa più leggera se me la sentivo per non perdere i giorni di ricovero. Non sia mai per carità, entrare e tenere occupato un posto per nulla! Nell'uscire si è diretta verso Antonio e gli ha detto che avrei dovuto fare dei controlli per la crisi che mi era venuta. Normalmente quando uno racconta una cosa non dovrebbe essere volgare e quindi non lo sarò, però mi chiedo sono o non sono ricoverata in un ospedale uno dei più rinomati di Milano? Sono stata male mentre ero ricoverata? ed allora perché per fare degli accertamenti devo farmeli per conto mio? Se vi interessano tanto me li fate in cinque minuti! Finita la flebo di antibiotico sono andata giù dove mi aspettavano in quattro per infilarmi l'elettrodo nella schiena, come dicevo prima, in questo caso non attaccato al nervo ma svolazzante, per modo di dire, nel gluteo. Sono sempre stata una che controlla tutto quello che mi fanno se può, ma con l'esperienza della notte, mi sono girata dalla parte opposta del video e appena sentito un poco di dolore, ho chiesto più anestetico. Mi sono fatta "schifo"; questa non è l'Alina che conosco che anche se sente dolore non si lamenta. A mia discolpa mi sono detta che era meglio così, piuttosto che avere un'altra crisi magari mente mi infilavano l'ago nella schiena. Finito il tutto non ho fatto in tempo a risalire in camera, che già sentivo male alla chiappa sinistra dove c'era dentro il filo con l'elettrodo. La schiena era tutto un cerotto perché, non essendo attaccato a niente il filo, con un minimo sforzo sarebbe venuto fuori. "Mi raccomando non li tolga mai, se si staccano ne aggiunga altri e non deve assolutamente fare docce o bagni". Quando sono andata a togliere il filo due settimane dopo avevo più cerotti io di una farmacia, dietro la schiena. Come dicevo, risalita in camera ero già dolorante e visto che la notte non avevo chiuso occhio, ho liquidato marito e mamma e mi sono messa a riposare in preda a dei brividi pazzeschi. Mi sono infilata il golf di lana con cui ero venuta, dei calzettone e mi sono messa sotto le coperte. Non ho riposato molto ma sono rimasta immobile tutto il tempo per cercare di scaldarmi e perché nel lato sinistro appena mi muovevo sentivo come delle coltellate. Le volte che sono dovuta andare in bagno non riuscivo a mettere a terra il piede sinistro per il dolore. Il pomeriggio me ne sono stata tranquilla a riposare fino alle 16 quando sono arrivati i miei con Antonio. Allora siamo saliti al secondo piano, dov'è c'è una sala di ricreazione con macchinette per prendersi qualcosa da bere o mangiare. Mi sono fatta di patatine e dopo un'ora siamo riscesi perchè ero stanca e mi stava tornando freddo. Il freddo ho scoperto il giorno dopo al rientro a casa, erano tre linee di febbre. Alle 18 puntuali come un orologio svizzero, hanno servito la cena. Ho mangiato a malapena una pasta e ho mollato li il resto. Ma come si fa a mangiare a quell'ora? Prima di andare via Antonio, mi ha portato altre patatine nel caso mi fosse venuta fame più tardi. E così è stato! Ho chiuso presto la luce la sera. Ero stanca della giornata e sfatta dalla nottata precedente. Non posso dire di aver dormito, ma almeno non ho visto passare i secondi. La mattina, dopo una colazione deliziosa con acqua e una goccia di caffè, è arrivato il dottore ad attaccarmi la scossa, dandomi in dotazione la mia macchinetta. Mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo. Avete presente il walkman che si usava anni fa. Il mio neuro stimolatore esterno da tenere due settimane era così. Da attaccare tramite una pinza alla cintura dei pantaloni e non staccarlo mai, neanche di notte. Subito dopo tolta farfallina e data lettera di dimissione, con scritto "condizione del paziente alle dimissioni: buone". Però mi raccomando vada a farsi vedere! Le due settimane sono passate, mi sono fatta anche tre giorni di fiera, con il neuro stimolatore, forse un po' pesante, ma io sono fatta così. Ora aspetto di rifare l'intervento che dovevo, tra una settimana, per poi arrivare al posizionamento dentro il corpo. Nel frattempo l'unica cosa che sono riuscita a fare è una visita dal neurologo che mi ha consigliato per mia tranquillità di fare un elettroencefalogramma e un tilting test per sapere se posso essere soggetta ad altre crisi vagali. Certo perché adesso ho paura che possa ricapitarmi. Ma stavolta do retta al mio medico della mutua, appena ti si avvicina qualcuno incompetente, prima che ti faccia del male lui, tiragli un cazzotto. E non dovrei ascoltarlo secondo voi!

venerdì 23 dicembre 2011

Marcia per l'endometriosi


In Italia ci sono un sacco di persone malate di varie patologie , ad essi sono state concesse tutta una serie di esenzioni per effettuare analisi e controlli periodici, sono nati centri per la diagnosi e la cura di queste patologie; giustissimo che chi è malato debba avere la possibilità di curarsi anche perché nel nostro paese la sanità è un servizio pubblico. Ora mi chiedo, perché noi donne affette da endometriosi non possiamo godere degli stessi privilegi?

L´endometriosi è una malattia benigna, ma cronica, spesso progressiva e complessa, originata dalla presenza anomala del tessuto che riveste la parete interna dell´utero, endometrio, in altri organi quali ovaie, tube, peritoneo e vagina provocando sanguinamenti interni, infiammazioni croniche e tessuto cicatriziale, aderenze ed infertilità. Ogni mese, sotto gli effetti degli ormoni del ciclo mestruale, il tessuto endometriale impiantato in sede anomala, va in contro a sanguinamento, nello stesso modo in cui si verifica a carico dell´endometrio normalmente presente in utero. Tale sanguinamento comporta un´irritazione dei tessuti circostanti, la quale dà luogo a formazione di tessuto cicatriziale e aderente, dove alcune cellule della mucosa uterina s´impiantano al di fuori dell´utero. I focolai di endometriosi si trovano soprattutto nel basso ventre (ovaie, intestino o vescica), più raramente in altri organi (cute, polmoni) dove vengono stimolati dagli ormoni che provocano il ciclo mestruale. Come la mucosa uterina - denominata endometrio - i focolai ciclicamente crescono e sanguinano.
I disturbi ad essa correlati comprendono la sintomatologia dolorosa principalmente legata al ciclo mestruale e diversi possibili danni a carico di organi e tessuti, che ne compromettono la buona funzionalità. Anche la sterilità può esserne una conseguenza. L´endometriosi progredisce per lo più con il passare del tempo. Continuano a formarsi nuovi focolai di mucosa, aumentando i disturbi. Ad ogni sanguinamento queste zone endometriosiche provocano una reazione infiammatoria nell´area circostante. Inoltre, particelle della mucosa aderiscono oppure infiltrano altri organi (vescica, intestino, uretere,ecc.). Questo può alterare la funzionalità degli organi colpiti e determinare sintomi tipici come dolori renali, dolori durante la defecazione o la minzione. Possono anche comparire coliche o dolori diffusi al basso ventre.
L´obiettivo del trattamento medico, cioè basato solo su farmaci, consiste del tentare di ostacolare questo processo, mentre l´obiettivo del trattamento chirurgico consiste nel bonificare i siti già colpiti dalla malattia per poi successivamente cercare di impedirne l´ulteriore estendersi.
L´endometriosi è spesso dolorosa (60% dei casi) fino ad essere invalidante, con sintomi molto caratteristici: dolore pelvico cronico, soprattutto durante il ciclo mestruale (o in coincidenza con lo stesso), dolore ovarico intermestruale, dolore all´evacuazione.

In Italia sono oltre 3 milioni (casi accertati) le donne che hanno dovuto rinunciare ad una vita normale a causa di questa malattia che non è mortale, ma di certo obbliga a condurre una vita invalidante, a causa delle tante complicazioni che porta. Anche noi dobbiamo fare analisi, esami, visite specialistiche, e quant’altro. Anche noi dobbiamo assentarci dal lavoro perché i dolori ci costringono a letto; molte di noi hanno dovuto rinunciare a diventare madri; e in casi più estremi molte donne sono state licenziate in quanto troppo spesso assenti dal posto di lavoro. Subiamo interventi anche due volte l'anno con tutto ciò che ne consegue, seguiamo terapie destabilizzanti, e spendiamo un sacco di soldi per diagnosticare e curare; ci sono farmaci che non vengono esentati e costano centinaia di euro. Alcune donne per curarsi devono fare centinaia di chilometri, perché i centri in Italia sono pochissimi.

Ora tutte noi donne ci facciamo delle semplici domande: PROTOCOLLO D'INTESA? RICONOSCIMENTO DELLA MALATTIA COME INVALIDANTE? ESENZIONI PER DIAGNOSI E CURE? INFORMAZIONE?

Perché nessuno non ci ascolta, nonostante ci sia una proposta di legge in Commissione a Montecitorio dal 2007?

Scendiamo in piazza e andiamo a chiederlo di persona il perché!!!!!!!!!

Vorrei quindi riuscire a portare in piazza a Roma le donne, i mariti e famigliari e gli amici delle donne malate di endometriosi, perchè sono fermamente convinta che in questa società se non ti fai sentire sei sempre messo in un angolo ed io mi sono stufata di stare all'angolo e ora infilo i guantoni e lotto per i miei diritti


(Lo scritto è preso da più fonti)

lunedì 28 novembre 2011

La mia Endo!


"Dai dolori che lei ha, potrebbe avere un po' di endometriosi. Meglio fare una laparoscopia di controllo." Finalmente il mio ginecologo mi stava dicendo che i dolori che avevo durante le mestruazioni e durante i rapporti con mio marito avevano un nome. Ma andiamo con ordine. Non ho mai sofferto di dolori mestruali dall'inizio. Poi dopo aver fatto un'operazione di appendice, ho iniziato ad avere dolori al basso ventre, soffrire di diarree improvvise. Il chirurgo che mi ha operato di appendicite, ha detto a mia madre che avevo delle cisti nell'ovaio e lui le ha bucate. Ma di che natura erano queste cisti? Come ti permetti di bucare roba che non sai neanche. Ma allora, qualsiasi cosa faceva un dottore andava bene. Sto parlando del 1985 circa. Ritorniamo al ginecologo che mi vedeva due volte all'anno. Ho iniziato ad andare da lui quando mi sono messa con il mio attuale marito e nella visita lui mi faceva sempre l'ecografia. Com'è possibile che nonostante gli dicessi dei dolori e mi facesse l'eco non si sia mai posto il problema prima. Anzi una volta mi ha consigliato, visti i dolori durante i rapporti, di mettere delle creme per ammorbidire la parte.

"Endo che?" gli chiesi. Ma allora non mi ha pressoché spiegato nulla lui. Sono stata io la sera che ho guardato in internet cosa fosse, e non mi è sembrata una cosa così grave. Ma il tempo mi ha fatto cambiare idea.

E così dopo aver fatto gli esami di pre ricovero, il 12 dicembre del 2001 ho iniziato la mia avventura col mondo endometriosi: la mia prima laparoscopia alla Mangiagalli. Quando mi sono svegliata dall'anestesia di fianco a me c'era mia mamma che mi guardava preoccupata. Sapendo che nella sua vita ha dovuto curare mia nonna malata per tanti anni da sola, e quindi non sopporta più gli ospedali, l'ho guardata con un sorriso e le ho detto: " e' tutto finito mamma, è andato bene, vero?" ma lei non mi ha risposto e mi ha accarezzato. Allora ho ripetuto la mia frase, magari ancora sotto anestesia avevo biascicato e non parlato correttamente. Si è seduta vicino a me con la sedia e mi ha detto che sarebbe passato poi il dottore a spiegarmi che l'endometriosi era già in stato avanzato, il peggiore il IV stadio e che avrei dovuto fare degli accertamenti sull'intestino per poi subire un ulteriore intervento. Il mio ginecologo aveva chiesto a mia madre di anticiparmi la brutta notizia perché lui non sapeva come dirmelo. Non ho parole per questo. Ho fatto i vari esami e sono stata messa in lista per il pre ricovera di marzo. Quel giorno, mi ha visitato un dottore che ora viene considerato uno dei luminari dell'endometriosi a Milano (non farò qui il nome di nessun dottore) e mi ha detto che di lì ad un mese sarei stata operata. Ok mi avvicinavo al mio secondo intervento a grandi passi. Vengo poi richiamata dentro da un professore, che all'epoca e ancora adesso viene considerato un esperto, che mi dice che ha bloccato l'intervento. Mi dice che sono giovane e quindi che devo fare un figlio e poi penserò all'endometriosi. L'ho odiato tanto. Come osava mettersi di mezzo al mio intervento, ordinarmi di fare un figlio e se io un figlio non lo avessi voluto? Al pomeriggio mi sono presentata nello studio privato del mio ginecologo inveendo contro questa persona. Morale che l'iter dell'intervento è ripreso con altri accertamenti da fare. Mi hanno mandato a fare una rettoscopia senza che lo sapessi e quindi senza preparazione in Regina Elena. Il dottore che me la eseguì non riuscì a farmela perché le feci ostruivano il passaggio, naturalmente. Anzi esordì con questa bella frase: "lei è piena di merda, qui non si vede niente!" Mi sarebbe piaciuto dirgli che anche lui era pieno ma era anche un pallone gonfiato ma stetti zitta. Mi diede appuntamento per quattro giorni dopo per rifare l'esame con adeguata preparazione. Quando uscii dall'ospedale avevo il sangue al cervello dall'incazzatura. Mi presentai il giorno dell'esame promettendo a me stessa che se mi avesse ancora insultato non sarei stata zitta. A metà dell'esame la sonda non riuscì più a salire, perché l'endometriosi bloccava tutto. Mi fece rivestire e mi disse con molta umanità "l'intervento lo devo fare io, adesso chiamo in Mangiagalli e dico quando sono disponibile, sarò via per qualche giorno all'estero. Che non mettano l'operazione alla mattina presto, almeno sono riposato perché qui ci sarà da lavorare per bene." Non mi sembrava neanche la stessa persona che mi aveva "insultato" quattro giorni prima. Finalmente uno che parlava chiaro, forse anche troppo!

Il 2 luglio 2002 feci la mia seconda operazione, la mia prima laparotomia. L'intervento fu lungo e complicato sbrigliare l'intestino dall'endometriosi fu complicato. Poi c'erano varie cisti nelle ovaie e l'utero da sbloccare. Fu eseguito come primo operatore dal professore che aveva bloccato l'intervento a marzo e dal chirurgo dell'intestino più il mio ginecologo, che secondo me face il passa bende in quell'occasione. Quando mi svegliai, non avevo sensibilità al piede sinistro. Forse l'operazione sul lettino ginecologico per molte ora, aveva fatto si che un nervo della gamba si fosse schiacciato e così fui anche visitata da un neurologo che mi disse che avrei ripreso la totale sensibilità del piede, dopo mesi. Stetti ricoverata 12 giorni e in tutti quei giorni non ho mai avuto il piacere di avere una visita dal professore. Il chirurgo dell'intestino invece veniva sovente sempre accompagnato da un sorriso dolce. Il giorno della dimissione, dovetti chiedere io al medico che mi tolse i punti se avessi dovuto andare avanti con la pillola, per non farmi venire di nuovo tutto. Lui mi rispose che tanto sarebbe ritornata. Ma in che ospedale ero finita!!! Ma come la Mangiagalli non era uno dei centri italiani per la cura dell'endometriosi? E questo era il modo di prendersi cura dei loro pazienti? Presi la mia roba e salii in ascensore. Li incontrai il professore che mi aveva operata. Naturalmente non mi riconobbe, visto che mi aveva solo intravisto su un lettino di sala operatoria. Non gli dissi nulla, cosa avrei dovuto urlargli: il figlio fallo tu, hai visto che ero già piena, perché non sei mai passato a vedermi, questo è il tuo modo di prenderti cura dei tuoi pazienti. Sì in testa gli feci tutte queste domande, ma restarono li. Uscii dall'ascensore e andai a casa a fare la mia lunga convalescenza. Dopo pochi mesi i dolori ripresero sempre più forti, insopportabili e l'intestino riprese a fare le bizze. Il mio ginecologo, che povero lui non ne ha mai capito un bel niente di endometriosi, mi disse che potevano essere delle aderenze all'intestino e quindi si poteva intervenire con un palloncino. Cioè si entrava con una sonda dall'ano dentro l'intestino e nel momento che si trovava lo stringimento si apriva un palloncino per aprire le pareti. Sembrava facile detta così. Il chirurgo dell'intestino però mi affidò alle "cure" di un suo collega dell'Istituto Tumori di Milano. Il giorno che andai per fare questo palloncino il radiologo fermò tutto chiedendomi il motivo di questo "intervento". Glielo spiegai ma lui mi disse che non si poteva fare un esame di questo genere senza aver avvisato le sale operatorie perché c'era il rischio, che se avesse messo troppa aria nel palloncino e si fossero lacerate le pareti del retto, di entrare d'urgenza in sala operatoria. Era un esame che facevano sui pazienti operati li o che ancora erano in degenza da loro. Io ero un esterna e quindi nessuno sapeva niente di me. Ritornai dopo pochi giorni. Il radiologo però non portò in fondo l'esame perché entrando con la sonda e risalendo l'intestino si rese conto che c'era qualcosa che bloccava da fuori le pareti e non le faceva dilatare. Morale della favola, l'endometriosi si era ripresa i suoi spazi. Feci altri esami e alla fine il mio ginecologo capendo che la situazione era pericolosa per l'intestino, mi diede in mano definitivamente al dott. dell'Istituto Tumori perché temeva che con la resezione dell'intestino rischiassi la deviazione. L'unica fortuna, tra tutte queste cose, è che mio marito lavorava in quell'ospedale. Presi un appuntamento nel suo studio privato portandomi appresso tutti gli esami fatti. Onestamente non ricordo cosa mi disse, non mi sentivo a mio agio da lui e l'unica cosa che mi è rimasta memorizzata è che dovevo essere ricoverata per una nuova laparoscopia. Mi ricordo che andai in crisi. Io all'Istituto dei Tumori non ci vado. Li c'è gente che lotta per la vita, io non ho niente in confronto. Quanti pensieri sbagliati si fanno con l'inesperienza. Fui ricoverata ed il 4 giugno 2003 feci la mia seconda laparoscopia. In quell'occasione conobbi il mio ginecologo attuale, perché visto che si trattava di una malattia ginecologica, il chirurgo dell'intestino chiamò lui, anche perché aveva già avuto molti casi di endometriosi tra i suoi ferri, prima di diventare oncologo. Il giorno del ricovero mi arrivarono pure le mestruazioni. Che vergogna, pensai, entrare in sala operatoria sanguinante. Che scema, penso ora, sangue più sangue meno, cosa importava a loro. L'endometriosi era tornata. Prima di dimettermi dall'ospedale il ginecologo mi fece dire in reparto di passare da lui. Io ero ricoverata in quello dell'intestino. Mi diede il suo numero di cellulare e mi disse: "Se vuole andiamo avanti insieme a combattere questa malattia. D'ora in avanti farà un diario quotidiano dei dolori e tutti i problemi collegati. Possiamo iniziare con tre alternative per la menopausa chimica: pillola in continuo, puntura di Enantone o spirale con progesterone, ci pensi e mi faccia sapere." Decisi per la pillola in continuo perché avevo paura che magari la spirale mi desse fastidio. Iniziai il mio diario quotidiano. Quando arrivavo alla sera e leggevo quello che avevo scritto mi sembrava un campo di battaglia: dolori, fitte, scosse, ovunque; tutto questo nonostante io fossi in menopausa. Dopo 3 mesi mi fece passare alle punture di Enantone, un medicinale fortissimo che si usa per varie malattie: nell'uomo per il tumore della prostata, nella donna per endometriosi e tumore alla mammella in donne che non hanno ancora raggiunto la menopausa. Come effetto collaterale può causare le vampate da menopausa e tutto quello che dicono compaia con essa: secchezza vaginale, diminuzione della libido e riduzione del volume mammario. Nonostante avessi una bella quarta il mio seno si era svuotato. Questo però non era niente rispetto a quello che mi fece quel farmaco. Iniziai ad avere delle emorragie tremende. Alcune bloccate con pastiglie di Tranex e fiale anti emorragiche. Ho tirato dicembre e poi il ginecologo mi ha detto che dovevamo parlare. Sono andata a parlare con lui, sta volta anche con mio marito, mi aveva già accennato di cosa dovevamo parlare: era arrivato il momento di decidere! Le alternative anche qui erano più di una: operazione totale (isterectomia con asportazione delle ovaie) per dimenticarsi della malattia, o pulizia di tutto quello che c'era dentro e provare con l'inseminazione artificiale per vedere se venivano figli e poi ci sarebbe stato un altro intervento per arrivare alla totale. Ho sempre odiato avere una scelta davanti. E se poi avrei preso quella sbagliata la colpa era mia, se invece ero obbligata potevo scaricare la colpa su altri. Come potevo prendere una decisione così? A 32 anni, dovevo decidere ora cosa avrei voluto del mio futuro che una maledetta malattia mi voleva portare via. Piansi mi disperai. Mio marito però mi disse: "Io amo te, non un ipotetico figlio che potrà venire o no. Quindi voglio che tu stia bene e se stare bene è non avere un figlio in modo naturale, un domani se tu lo vorrai ci saranno altre strade." Cosa potevo volere di più dalla persona che avevo accanto. Questa era l'ennesima dichiarazione d'amore, e che lui c'era e qualsiasi cosa avessi questo lui mi avrebbe sostenuto. Mi presi del tempo, anche perché era appena entrata in vigore la nuova legge sull'inseminazione e leggendola mi faceva schifo: non tutelava le donne. Decisi così di pensare a me e di fare l'intervento di isterectomia. Se devo dire la verità ancora adesso questa decisione mi pesa e sono passati ben 7 anni. A febbraio del 2004 pochi giorni prima del mio 33esimo compleanno mi operarono. Firmai per l'eventuale deviazione al retto. Ricordo che il giorno prima dell'operazione, mentre facevo la visita con l'anestesista lui mi disse: "Età 33?". "No ancora 32 per poco, cerchi di impegnarsi e di farmi arrivare all'età in cui è molto Cristo, perché io vorrei superarla." Chissà cosa avrà pensato. La notte nevicò, la notte prima dell'intervento e visto che io adoro la neve ho pensato che mi avrebbe portato fortuna. La mattina del 22 febbraio 2004, un venerdì, entrai in sala operatoria per quella che pensavo fosse la mia ultima operazione e che doveva farmi dimenticare a vita la mia malattia. La neve portò solo la fortuna la mio intestino che fu sì reciso, ma non fu necessaria la deviazione. Quando la sera mi svegliai dall' anestesia (passai in sala operatoria tante ore, il ginecologo quando andò a parlare coi miei famigliari era distrutto) continuavo a chiedere notizie sull'intestino e sull'uretere. Si l'uretere era stato salvato dal primario di ginecologia che mi aveva messo lo stent perché si era piegato tutto e appiccicato all'intestino a causa dell'endo. Ma io come potevo saperlo? Boh ancora adesso me lo domando. Forse nella camera di risveglio in trance avevo sentito qualcosa e il mio cervello era rimasto su quel particolare, che una volta svegliata, per modo di dire, continuavo a chiedere. Sfortuna vuole che non tolleravo l'elastomero con la morfina e così dopo poco me l'hanno anche tolto, così mentre tutti quelli che avevano subito interventi dormivano rincoglioniti dalla morfina io passavo la notte in bianco, dolorante. La sera dopo, la vigilia del mio 33 esimo compleanno ha avuto una colica renale. Vi lascio immaginare il dolore di una colica con la ferita di una pancia aperta fatta da un giorno. Chiamarono gli urologi e mi dissero che poteva essere lo stent che si era mosso. Era il suo modo di farmi gli auguri! Sono stata ricoverata 15 giorni, anche perché i primi giorni li ho passati con la flebo alla giugulare come alimentazione, visto il taglio dell'intestino. Poi brodo e non ricordo cos'altro. Era importante che io facessi anche solo dell'aria, cioè che il mio intestino ricominciasse ad avere le sue funzioni. La riabilitazione è stata lunga. Ora c'era da preoccuparsi della mia menopausa anticipata. Iniziai a prendere la pillola contro la menopausa. Passai un anno e mezzo abbastanza tranquillo. Una notte ebbi una colica renale. Mi ricordo che venne mia mamma la mattina a farmi una puntura. Chiamai il ginecologo per diglielo e lui mi disse che probabilmente c'era della sabbia e di farmi vedere da un urologo. E così mi ripresentai, dal mio vecchio, non per età ma per conoscenza, urologo dell'Humanitas. Vecchio perché prima di iniziare tutto il calvario dell'endometriosi avevo avuto dei problemi: urinavo tantissimo rispetto al liquido che ingerivo e lui mi aveva fatto entrare in ospedale facendomi fare vari esami urologici senza capire cosa fosse successo. Probabilmente era già una prima dimostrazione di affetto dell'endometriosi. Mi visitò ma non mi trovo nulla. Mi disse solo che per vedere avrei dovuto andare da lui sotto colica. La notte del 24 dicembre 2005 ebbi un'altra colica, stavo malissimo. La mattina alle 8 suonai ai miei con in mano la siringa e il buscopan. Mia madre mi disse che dovevo assolutamente imparare a farmi le punture da sola, per essere autosufficiente. Non potevo permettermi di essere dipendente da altri. Così una notte, dopo l'ennesima colica, che mi veniva ogni due settimane, presi coraggio. Non so quante volte mi bucai prima di prendere la decisione di far entrare tutto l'ago. Comunque alla fine sono riuscita. Un week end di febbraio che tornavo dal mare, ho passato quasi tutto il viaggio sotto colica. Nell'arrivare a Milano ho chiamato subito l'urologo ma lui era nella sua giornata libera e mi disse di andare in ospedale. No ancora in ospedale no. Non ci volevo andare. Aspettai qualche ora, poi presa da un orecchio da mamma e marito, mi portarono al pronto soccorso dell'Humanitas. Mi ricoverarono per una settimana, facendomi fare un sacco di esami, RMN, tac, l'ennesima colonscopia. Alla fine il mio urologo mi disse che era qualcosa sull'uretere che si gonfiava a andava a schiacciare, provocandomi le coliche e anche andava tolta. "Tolta come?" chiesi. Bisogna fare il rinnesto dell'uretere in vescica. Tagliare l'uretere dove ha quella massa e rimetterlo dentro la vescica, portando su un po' la vescica e abbassando un po' il rene. No, non si posso credere!!! Un'altra operazione. Mentre ero ricoverata ho chiamato il mio ginecologo chiedendogli se poteva essere ancora endometriosi. "Assolutamente no, non c'è n'é più." così mi rispose e finì la telefonata con" Auguri." In quel momento se lo avessi avuto tra le mano non so cosa gli avrei fatto. Il 17 marzo del 2006 facevo la mia terza laparotomia. Mi operò il primario di urologia, che vedendomi la pancia a gobbe per i vari interventi mi disse che me l'avrebbe sistemata lui. Era venerdì come la mia ultima operazione. Non nevicava ma comunque qualcosa andò storto. La notte ebbi un'emorragia. La mattina di sabato non sapevano se rioperarmi, perché già nell'intervento appena fatto avevano toccato la parte da togliere e l'addome si era riempito di sangue. Mi fecero due trasfusioni. Un mese prima ero andata io a donare il sangue. Per la prima volta nella mia vita, ricevevo quello che davo. Ho la fortuna che una volta che sto bene il mio cervello si dimentica dei dolori anche forti che ho avuto. Anche nel caso della notte dell'intervento non ricordo il dolore provato. Ma ho netta la sensazione che è stato il più forte della mia vita. Non ho mai chiamato in vita mia infermieri per farmi fare dei calmanti o perché non stavo bene. Beh quella notte, avrò suonato il campanello 1000 volte. Avevo male ovunque. La schiena poi mi faceva impazzire. L'addome me lo sarei strappata. Solo la mattina con gli esami del sangue si è scoperto che avevo un'emorragia in atto. Meno male che qualcuno ha guardato giù, avrei potuto lasciarci le ghette. Morale 13 cm di ematoma sulla pancia. Ho tenuto lo stent per un mese e non ricordo quanto il catetere. Quando arrivo l'esame istologico mi venne un colpo. Avanzo ovarico. Avevo nel mio corpo un pezzo di ovaia che ovulava e andava avanti a fare casini. Chiamai subito il ginecologo e gli disse che sarei andata da lui in ospedale per parlare di questa cosa. Ci incontrammo in Istituto e non mi chiese scusa. Mi disse che era possibile. Le mie ovaie erano esplose prima di essere tolte. Erano rari i casi, a me era successo. L'unico dottore che in vita mia si è scusato con me è stato il suo primario che una volta operata è venuto a scusarsi di avermi fatto attendere così tanto. Lui che operava tumori non aveva mai avuto un intervento così complicato. A noi pazienti basta poco: che qualcuno ti dia una pacca sulla spalla e ti dica: ti capisco!

La cosa buffa è che io avevo preso per un anno una pillola contro la menopausa e in menopausa non ci ero. Feci controlli ed eco per monitorare l'ematoma. Ad ottobre stavo ancora male, dolore al rene. Corro dall'urologo e mi dice, c'è un linfocele che blocca l'uretere. Domani vieni dentro che te lo siringo in ecografia. La mattina successiva mi sono ripresentata al pronto soccorso, dove l'equipe di urologia era già stata allertata e lui insieme all'ecografista sono entrati con una siringa con un ago lunghissimo davanti e tramite ecografo hanno bucato il linfocele e fatto uscire quello che c'era dentro. Sono stata ricoverata per due giorni, fin tanto che la pallina non si sgonfiasse del tutto. Non è carino vedere entrare un ago lunghissimo nel tuo addome con l'urologo che ti dice di stare ferma perché dietro c'è l'aorta e se sbaglia, son cavoli. A nessuno è venuto in mente di analizzare il contenuto del liquido anche se era rossiccio. A febbraio mio marito per sfatare questo mese mi fece un regalo per il mio compleanno. Un viaggio in mar rosso. Che bello non ci potevo credere. Tre giorni prima di partire ero in ufficio e non stavo bene. Avevo delle pulsazioni fortissime dentro il retto. Da quando non sto bene ho sempre dei medicinali forti con me così presi un toradol. La sera andavo fuori con gli amici della palestra a festeggiare il mio compleanno. Presi un altro toradol ma niente i dolori non mi passavano. Quando tornai a casa, presi il terzo della giornata. Stavo malissimo. Alle tre di notte non ce la facevo più mi alzai e mi feci una puntura. Cercai di andare ad urinare ma non riuscii. Mi prese il panico, iniziai a piangere. Mio marito si vestì e per la l'ennesima volta volai al pronto soccorso dell'Humanitas. Oramai bastava che digitassero il mio nome e cognome e avevano tutte le cartelle a disposizione e quindi non mi fecero attendere neanche un secondo. Arrivò subito l'infermiera a farmi la flebo calmante e dopo poco ero a fare un'ecografia. Avevo una palla di 9 cm nella pancia. Visto che non riuscivo a urinare mi misero il catetere. La mattina arrivò il mio urologo prendendomi in giro. " Ma sei sempre qui?"; tutti i dottori dopo poco che hanno che fare con me mi hanno dato del tu, sarà che dimostro anche meno dell'età che ho. Gli ho sorriso e mi hanno ricoverato. Addio al viaggio nel mar rosso. Sono entrata in ospedale il 28 febbraio 2007, una data che ricorderò per tutta la vita e sono uscita dopo un mese. Per prima mi hanno infilato un ago nella schiena tramite tac guidata per cercare di arrivare alla palla. E' stato doloroso ma come al solito non ho detto niente. Ogni volta che prendevano un ago più grosso per cercare di bucare ed entravano, sentivo la sensazione che ne uscissero da davanti. Alla fine non so quanti aghi sono stati cambiati ma sono riusciti a scalfire la corteccia ed entrare. Ho tenuto il drenaggio per un po' di giorni. Uno degli ultimi ha iniziato a uscire sangue vivo. Mi sono spaventata e ho chiesto il motivo. A vedere un dottore che brancola nel buio sono abituata ma dico la verità mi dà ancora fastidio e non mi abituerò mai. Ho capito solo dopo due mesi cosa era. Ma non affrettiamo i tempi. Poi mi hanno rivoltato come un calzino per capire come mai la vescica non funzionava più. Per i primi giorni ho avuto il catetere, poi hanno deciso di insegnarmi l'autocateterismo. Morale, infilavo io un piccolo tubicino dentro il meato e facevo uscire l'urina dalla vescica. Non avevo però sensibilità quindi non capivo quando la vescica era piena, rischiavo di farla riempire troppo e quindi mandarla in ipertensione. Mi diedero un orario per urinare. Ogni ora o più durante il giorno dovevo svuotarla. Come ho detto mi fecero tantissimi esami, sui nervi, tac, risonanze magnetiche. Alla fine visto che stavo lasciandomi andare, dopo che un chirurgo un venerdì pomeriggio era venuto a dirmi che se mi avessero operato mi avrebbero distrutto l'addome, mi lasciarono andare a casa senza però sapere il motivo del blocco vescicale. Sono andata avanti a fare l'autocateterismo ancora per due mesi. Poi un giorno sono riuscita piano piano ad andare in bagno da sola. Non vi dico che male la vescica e l'uretere che riprendevano a funzionare. Ho avvisato l'urologo che era contentissimo. Mi avevano lasciato tornare a casa con la promessa che ci sarebbe stato un consulto tra i vari reparti per capire cosa poteva essere successo: urologia, ginecologia, neurologia, chirurgia generale. Alla fine l'ho scoperto da sola, perché dopo tutti questi anni, sono diventata medico di me stessa. Ho chiesto al mio dottore della mutua, l'unico che mi abbia sempre ascoltato e capito al primo sguardo, se potevo fare gli esami per sapere se ero in menopausa. Li ho fatti due volte a distanza di poco. Morale avevo ancora ovulazione e quindi quello che c'era ancora dentro il linfocele era il secondo pezzo ovarico che ovulando ingrossava la palla. Ecco perché era uscito sangue dal drenaggio quando spurgava il liquido. Stavo avendo una specie di mestruazione. Questo pezzo però, come mi aveva fatto capire il chirurgo, non si poteva andare a toccare. Ci sarebbe stata deviazione del retto sicura e per l'uretere avendo già subito un rinnesto, nessuno mi ha spiegato cosa avrei rischiato. Ho così riavvertito il mio ginecologo che oramai non sapeva più cosa dirmi e forse anzi malediceva il giorno in cui mi aveva lasciato il suo cellulare. Mi ha rimesso sotto pillola, ma non la solita una di nuova generazione, leggera. Dopo un mese avevo ancora il rene dilatato e l'urologo mi ha fatto tornare in pronto soccorso per mettermi lo stent di nuovo. Si vede che qualche angioletto ha guardato giù e visto che il ginecologo mi ha subito fatto fare le puntura di Enantone, il rene di è sgonfiato quindi mi hanno rimandato a casa. Sono rimasta con la puntura per quattro mesi, poi sono ritornata alla mia vecchia pillola che prendo tutt'oggi. Ho iniziato a soffrire di ipertensione. Il mio pezzo ovarico è tenuto sotto controllo con ecografie e dalla pillola ma i casini non sono finiti. Quando uno fa così tanti interventi ci sono sempre casini dovuti ad essi. La prima cosa che ho perso è la sensibilità all'interno della vagina. Poi mi sono accorta che non riuscivo più a defecare. Spingevo spingevo ma le feci non uscivano. Sono così andata dal collega del mio ginecologo, quello che mi aveva fatto la seconda laparoscopia insieme a lui. Mi ha visitato e consigliato un esame: la defecografia per vedere come funzionava tutto la parte potoria dell'intestino. L'esito è stato che avevo perso completamente il movimento anale. Quando dovevo chiudere chiudevo, ma quando dovevo spingere e quindi aprire, chiudevo. Ho dovuto fare due cicli di scosse al nervo pudendo che regola questo movimento, e ad oggi ho ripreso al 70% la funzionalità. Ho perso però la sensibilità all'ampolla del retto e per questo motivo mi si è formato un rettocele anteriore. Sto facendo un sacco di esami e di consulti per capire cosa fare. Ad oggi sono al punto che operare il retto comporterebbe andare ad intervenire su una parte già martoriata."Alcune volte la chirurgia non risolve niente, anzi può peggiorare" così mi ha detto un chirurgo di un altro ospedale da cui sono stata mandata. Un'altra soluzione che mi è stata data, ma per risolvere solo il problema delle insensibilità è operare il nervo pudendo per disimbrigliarlo dalle aderenze che sicuramente ha. Non ho ancora deciso niente ad oggi, ho la testa nel pallone. Tutte le soluzioni che mi danno non portano ad una soluzione definitiva. Io invece, vorrei mettere fine alla mia esperienza con questa maledetta malattia, che mi ha portato via tanto come donna e anche nelle amicizie perché stare vicino a gente malata non è facile, ed è molto più facile lasciarla in balia delle onde e che qualche santo provveda.

giovedì 30 settembre 2010

la seconda tappa....


La mattina seguente imposto la nuova destinazione. Non abbiamo da fare troppi kilometri, andiamo sopra Linz a Bad Leonfelden, nell’unico albergo che ho prenotato prima di partire perché saranno quattro giorni di relax. Ci facciamo tutta l’autostrada fino a Linz e poi una trentina di km salendo in mezzo alle colline, al verde e mucche ai lati della strada. Il panorama è molto bello. Arriviamo con un’ora di anticipo sul check in per avere la camera, quindi decidiamo di andare a fare un giretto in repubblica Ceca, che dista solo 6 km. Ci rintoneremo due giorni dopo per visitare un paesino patrimonio dell’Unesco. Alle due spaccate, ci ripresentiamo alla reception dell’albergo col sorriso stampato sul viso. Finalmente si possono smontare le valigie. Quattro giorno nello stesso posto! Prendo i miei vestiti e li butto letteralmente dentro l’armadio e dopo un secondo indosso già il costume. L’albergo ha una piscina all’aperto e una parte interna con sauna, bagno turco e zona relax. Guardo Antonio ed è ancora vestito. Sta sistemando i suoi vestiti dentro l’armadio. Camicie da una parte, magliette da un’altra, mutande calze … guardo il lato del mio armadio ed è tutto appallottolato. Ok abbiamo due caratteri diversi. Sente i miei occhi che lo fissano, si gira e mi guarda: “sei già pronta?” Indosso l’accappatoio dato dall’albergo con il nostro numero di camera attaccato ad una spilla rotonda, che mi ricorda molto le spille che usavo quando andavo a scuola e che attaccavo sui giacconi. Dopo poco, è pronto anche lui. Mi sento a disagio camminare per il corridoi in accappatoio, ma incontriamo altra gente e così mi rilasso. Prendiamo l’ascensore e scendiamo alla reception dove c’è l’accesso alla zona piscina. Prendiamo il posto sulle sdraio e finalmente ci rilassiamo. Ora si che mi sento in vacanza, penso stando sdraiata nell’idromassaggio guardando il panorama intorno. Ma a chi sarà mai venuto in mente di costruire un albergo termale in questo posto, a 6 km dalla repubblica Ceca e alle porte della famosa foresta Boema. Beh chiunque sia stato, è un genio! Antonio sta già dormendo, sulla sua sdraio. Beato lui, riesce a dormire ovunque. Quando si sveglia col mal di collo, decidiamo di andare a visitare la parte termale. Faccio per scendere gli scalini e resto sorpresa dal cartello che c’è appeso sopra la porta a vetri smerigliato. Vietato l’ingresso ai minori di 16 anni. Cosa ci sarà mai di là, mi domando. Non faccio neanche in tempo ad entrare che mi si para davanti un signore che scorrazza tutto nudo per le stanza. Mi tornano così in mente le parole di mio padre: “ Ah ricordati che in Austria, nelle terme si va tutti nudi”. Aveva ragione. Mi guardo in giro e vedo che dentro la sauna ci sono donne “spiaggiate” che si rilassano. Gli uomini invece stanno seduti a gambe aperte, quasi fieri delle loro virilità. Usciamo e decidiamo di fare un punto della situazione: se nudi sono … nudi saremo! Ci infiliamo il costume nella tasca dell’accappatoio e via … come mamma ci ha fatti. Alla fine non è poi così tanto male. Si, certo ti senti osservato, forse per i primi 10 minuti ma non nego che anche io mi sono messa a fare il punto della situazione. Nella mia mente risuonavano applausi per uomini dai bei fisici … diciamo così, a sorrisi nel vedere come delle persone non perfette, anzi magari molto sovrappeso, fossero a loro agio nel camminare a testa alta, nude. Anche a me avranno fatto gli stessi raggi x, che ho fatto io agli atri. La cosa simpatica se non ridicola, era che ogni giorno verso le 16 circa ci si ritrovava tutti nella zona termale, dopo aver passato la giornata in giro per cittadine o dopo passeggiate nei boschi, tutti nudi. La sera però, ci si rivedeva al ristorante tutti in tiro. Mi mancano molte quelle due orette, non solo per il fatto del relax e il non pensare a niente, ma penso che alla fine mi manchi proprio il fatto di andare in giro nudi. Tutto uguali, senza vestiti senza maschere. Penso che mi sia servita molto questa piccola esperienza. Non ho un fisico da modella, ho i miei difetti e a volte mi faccio anche della piccole paranoie. Ho una brutta cicatrice che mi taglia in verticale la pancia per colpa di vari interventi subiti, col costume si vede poca ma li, tutti potevano notarla. Ma non ero la sola … più mi guardavo in giro e più vedevo che i problemi e i difetti tutti li avevono. Facevo parte della massa, e loro erano uguali a me. Come ho accennato sopra, nei giorni che siamo rimasti qui, abbiamo fatto due gite. Una a Linz, città della cultura Europea 2009 e l’altra a Český Krumlov, inserita nell’elenco mondiale del patrimonio dell’Unesco. Appena si passa il confine Ceco, si costeggia la Moldava, fiume che scorre intermante in tutto lo stato. AI lato del fiume, tutto è stato creato per la gioia dei canottieri. Viaggiare sul fiume in raft e nelle canoe rappresenta uno dei maggiori richiami sportivi della regione. E‘ possibile noleggiare direttamente nelle varie città le canoe e chiedere il servizio di trasporto e di rientro dal luogo di arrivo in canoa. Esiste un bel percorso, adatto anche ai canoisti meno esperti, che dura circa 4 ore fino a Zlatá Koruna. Mentre Antonio guidava per arrivare a Český Krumlov, io mi sono goduta lo spettacolo. Centinaia e centinaia di canoe e gommoni che scendevano il fiume. Ai lati, tende, rinfreschi, gente che giocava, che mangiava e che si divertiva con poco. Che voglia di provare. La cittadina è veramente deliziosa. Abbiamo visitato i vari punti più belli per fermarci insieme a tutti i turisti sui vari ponti della città, che viene tagliata due volte dalla Moldava, a ridere e fotografare i ragazzi che scendevano le cascatelle e rapide, e si rovesciavano perdendo la canoa. La cosa più simpatica era che si aiutavano l’un l’atro. Chi era riuscito a passare indenne la cascata, aspettava sotto il passaggio del prossimo e lo aiutava in caso di rovesciamento. Più li guardavo e più mi saliva la voglia di provare. Della gita a Linz invece ricordo l’impressione di vedere per la prima volta il Danubio. Purtroppo i quattro giorni sono passati velocemente ed il venerdì ci siamo rimessi in macchina alla volta di Vienna, con previsioni del tempo che davano brutto e freddo.

lunedì 6 settembre 2010

Il primo giorno di vacanza....


Sono le 5:58 quando spengo la sveglia. Antonio mi sente e mi chiede l’ora. “E’ ora di alzarsi”, gli dico e tiro indietro il lenzuolo arrotolato sotto il mio sedere per il caldo. Abbiamo deciso di svegliarci presto, ieri sera, perché oggi è dato bollino nero in autostrada. Non ho pressoché dormito niente stanotte, non è una novità per me, prima di una partenza passo sempre la notte a controllare la sveglia per paura che non suoni. Vado in bagno, guardo fuori per vedere se la città dorme ancora o se tutti hanno avuto la nostra idea, partire presto. Nella via più di passaggio, ne passano due. Milano dorme ancora. Vado in cucina e preparo la colazione. Ho la nausea non ho voglia di prendere niente ma mi costringo a mangiare almeno due biscotti, il viaggio è lungo e non so quando metterò sotto i denti altro cibo. In poco tempo siamo pronti. Faccio il giro di casa per vedere se tutto è chiuso e non abbiamo dimenticato niente. Ci tocca solo caricare le valigie in macchina e finalmente partire per il nostro tour europeo. L’anno scorso avevamo fatto una crociera, quest’anno ce la facciamo in macchina; capitali europee ed Europa dell’est. Fortunatamente le valige stanno tutte nel bagagliaio. Una sacca a testa, la valigia delle scarpe, medicine, due zaini il computer portatile e tutta la mia attrezzatura per la macchina fotografica. Beh in fin dei conti stiamo via due settimane, passando da una città all’altra, da un albergo all’altro. Mentre usciamo dalla rampa del box, imposto il Tom Tom sulla prima meta: Salisburgo, 580 km e sei ore di viaggio se va tutto bene. Peccato che dobbiamo fare il Brennero e li, non saremo certo gli unici. Mentalmente mi dico che se perderemo un’ora sulla tabella di marcia, ci andrà alla grande. In tangenziale non c’è quasi nessuno e così nel primo tratto, fino a Bergamo. Guardo Antonio di sottecchi e mi accorgo che gli si chiudono gli occhi. “Vuoi che guidi io?” non mi risponde ma, fa cenno di no con la testa. Il sole è proprio davanti a noi e da fastidio, non riesco a regolare il parasole in una posizione in cui non mi disturbi. I cartelli segnaletici stradali danno code a tratti verso Verona. Meno male che noi deviamo prima. Ad un certo punto, Maffy, il nome che ho dato al Tom Tom, rompe il nostro silenzio, dicendo che di li a poco dobbiamo uscire dall’autostrada. Guardo Antonio interdetta, perché l’ultima volta che avevamo preso per il Brennero non eravamo usciti lì. “Maffy che cavolo dici, non mi sbagliar strada proprio all’inizio!” Le ringhio. “Tra 600 metri tenere la destra e uscire dall’autostrada, proseguire, alla rotonda terza uscita”. Antonio mi guarda, ma leggo nei suoi occhi la domanda su cosa fare. “Ok non sarà diventata matta tutta in un colpo, usciamo”. Seguiamo le sue indicazioni e ci porta sulla Affi, la strada che collega Peschiera all’entrata dell’autostrada A22 del Brennero. Mi scuso con essa, per aver messo in dubbio il suo operato e mi godo il panorama. Che verde e quanti vigneti! Non faccio a tempo a pensare che per ora sta andando tutto bene, che le macchine davanti a noi, si fermano. Manca un kilometro e mezzo all’entrata dell’autostrada e c’è coda. Perdiamo venti minuti ma alla fine siamo sulla A22. C’è traffico ma si va. Avendo cambiato direzione di marcia, mi ritrovo il sole in pieno viso sulla destra. Che noia questo sole. Facciamo ancora qualche km e Antonio decide di fermarsi per prendere un caffè. Io ne approfitto per andare in bagno. La coda per entrare, arriva quasi al distributore di benzina. Nei bagni degli uomini nessuno, in quello delle donne, il delirio. Mi rassegno e mi metto in coda. Quando arriva Antonio, dopo essersi preso un caffè ed una brioche, sono ancora a metà. Lui entra, fa quello che deve fare e nell’uscire dice che mi aspetta in macchina, di fare pure con comodo. Per forza! Scopro solo quando finalmente riesco ad entrare, che funzionano solo due bagni su cinque. Lasciamo perdere le condizioni dei due bagni. Riprendiamo il cammino. La prossima sosta è obbligata; prendere la vignetta per l’autostrada austriaca per nove giorni. Austria, finalmente siamo in Austria. Ora sì che mi sembra veramente di essere in vacanza. Il paesaggio è bellissimo, un verde che cattura e che rilassa. “Ora non dovremmo più trovare casino” dice Antonio. Sono cose che si pensano ma non si dovrebbero mai dire. Dopo poco ci fermiamo perché stanno rifacendo il manto stradale e quindi siamo in coda per andare sull’altra carreggiata. Scoppio a ridere. Intanto mando degli sms a casa per avvisare che stiamo giungendo alla meta. Di fianco a noi, si ferma una vecchia Ferrari che fa un casino pazzesco. Il guidatore, in questo caso sarò carina e non dico tutte le cose che gli ho detto urlato in macchina, ogni volta che deve ripartire, fa delle accelerate come se fosse alla partenza di un gran premio. Ci accompagna per un grande tratto di coda. Alla fine, lo perdiamo perché al primo distributore ci fermiamo a fare rifornimento, ormai sull’orlo di una crisi di nervi … almeno io. La benzina più cara, che abbiamo fatto lungo tutto il viaggio. Ladri! Passiamo Innsbruck, oramai non manca molto. Arriviamo a Salisburgo per ora di pranzo. Ora dobbiamo trovare il punto informazioni per prendere una stanza per due giorni. Ci dirigiamo verso il centro e iniziamo a girellare per le vie con la macchina. Sali di qui, scendi di qua. Torna indietro, di li si esce. Ripassa di la. Dopo mezz’ora che giriamo a vanvera non ne posso più. Consiglio di chiedere a qualcuno. Devo averlo detto più di una volta e in poco tempo, perché alla fine Antonio si ferma su un marciapiede e va a chiedere ad un baracchino per i tour in pullman. La signorina, per niente simpatica gli indica la stazione ferroviaria. Parcheggiamo dietro alla macchina della polizia nel piazzale. Nel parco ci sono barboni che si tagliano i capelli a vicenda. Attraversiamo e entriamo nell’ufficio. Lascio parlare Antonio perché io sono un po’ impedita con le lingue; chiede se c’è disponibilità di una camera abbastanza in centro, per due notti. La ragazza, molto gentile e disponibile ci dice che da due giorni è iniziato a Salisburgo il festival della musica classica e che quindi non ci sono molte camere disponibili. Io comprendo tutto quello che lei dice. Cosa mi è successo, per la prima volta in vita mia sto ascoltando una che parla in inglese capendo e cercando di parlare a mia volta! Ci propone un albergo a 10 minuti a piedi dal centro e noi lo prendiamo, anche perché le altre soluzioni sono lontanissime e bisogna usare la macchina. Ora mi spiego perché quando guardavo in internet le varie disponibilità di alloggio nelle varie città, a Salisburgo ce ne erano pochissime. E chi andava a pensare al festival! Imposto Maffy sulla via dell’albergo e in pochissimo ci arriviamo. Camera 202. Entriamo. A momenti è più grossa di casa nostra. Aperta la porta, c’è un corridoio con un armadio, scoprirò solo la sera che dentro c’è una cucina. Poi si entra nella camera, enorme con un bow-window carinissimo. Più spazio si ha e più ci si allarga. Molliamo le valigie in ogni punto della stanza. Ci facciamo una doccia veloce e ci cambiamo. Prendo lo zaino della macchina fotografica e sono pronta per iniziare la mia vacanza e reportage fotografico. A Salisburgo ci sono stata quando ero piccolina ma, onestamente non me la ricordo per niente. Attraversiamo il ponte e siamo già pressoché in centro. C’è un bellissimo bar con ombrelloni che ci attira. Ci guardiamo e pressoché all’unisono ci sediamo in un tavolino. Ma che ore sono? Tiro fuori il cellulare e guardo: le quattro e mezza. Beh una merenda ci sta, in fin dei conti è da stamattina che non tocco cibo. Prendiamo la lista e ordiniamo un panino con carne e chili, tanto per restar leggeri. Finito il nostro spuntino ci buttiamo satolli, nelle vie principali. Salisburgo non è grande, quindi dopo poco abbiamo girato quasi tutto il centro della parte bassa. L’alta, decidiamo di lasciarcela per l’indomani. C’è già gente vestita per l’opera che si aggira per le vie. Che eleganza! Musicisti che camminano con le custodie degli strumenti sulle spalle. Spalti ovunque e maxi schermi nella piazza principale. Tutto ruota intorno al famoso festival. Ne sono affascinata. Ripassiamo al di là del fiume Salzach e percorriamo le vie che riportano al nostro albergo. C’è un bellissimo giardino proprio prima, il giardino barocco del castello Mirabell. Lo giriamo quasi tutto affascinati dai fiori e dalle fontane e dopo poco siamo in camera, non prima di aver chiesto la password per la linea wireless alla hostess. Ci sta prendendo un filo di stanchezza. Ci buttiamo sotto i piumoni per fare un riposino. Penso di aver riposato 5 minuti di orologio, poi ho iniziato a sbuffare per il caldo e cambiare posizione ogni secondo. Alla fine mi sono alzata ed ho acceso il PC. Ma che cavolo di presa hanno in Austria? Due buchi e la mia presa del PC è di tre. Prima di partire per questo viaggio ho pensato veramente a tutto ma non mi è venuto in mente di vedere le prese che c’erano. Scopro con mio sconforto che in tutta la camera le prese sono a due buchi. Va beh ora lo userò con la batteria, poi quando scendo chiedo se hanno un adattatore. Mi collego in internet con la password datami e scrivo ai miei che stiamo bene, che abbiamo internet e che se tutto va bene ci sentiremo così durante il viaggio, con resoconto di fine giornata. La linea è un po’ limitata, cade più volte ma non mi lamento. Scarico le foto fatte e chiudo perché non voglio fare fuori la batteria. Si sono fatte le sette e mezza e ci vestiamo. Quando siamo fuori le luci del tramonto stanno facendo capolino. La città acquista ancor più fascino. Si stanno accendendo le luci e tutto diventa magico. Ritorniamo in centro. Davanti all’Opera sta uscendo un sacco di gente, ma non capisco se sia finito lo spettacolo e sia la fine del primo tempo. Ci dirigiamo nella piazza centrale. Il maxi schermo è acceso e stanno trasmettendo La Traviata di Giuseppe Verdi. Restiamo per una ventina di minuti anche noi a sentirla ma onestamente non conoscendo molto l’opera, anche se so di cosa tratta, mi viene a noia e inizio a fotografare nel buio la gente che è li a guardare. Non ne posso più di Alfredo (per chi non lo sapesse, fra i passaggi più popolari dell’opera c’è l’invocazione di Violetta “Amami, Alfredo”) … guardo Antonio e gli faccio segno di andare. Sono le nove e mezza passate. Mi dice che lui non ha fame ha ancora il chili sullo stomaco. Va beh allora non mangio neanche io. Girellando però, passiamo davanti ad un baracchino che fa hot dog e presa da gola, ebbene si solo la mia gola, me ne mangio uno. Penso di averlo digerito poi al mattino dopo. Stanchi della giornata ci incamminiamo verso casa, si perché oramai il nostro albergo è diventata la nostra casa per due giorni. Ci spogliamo, ci infiliamo sotto al piumone e neanche il tempo di riempire la camera di pecore, che stiamo già dormendo. La sveglia suona, ma stavolta sono le otto e mezza. Guardo il mio lato del letto e guardo quello di Antonio. Il suo, sembra sia passata da poco la donna delle pulizie: il piumone non si è mosso di un millimetro. La mia: i piedi sono fuori ed è tutto sottosopra. Il lato corto è finito dovrebbe esserci quello lungo. Ok ho avuto caldo stanotte! Scendiamo per la colazione ed io decido che assaggerò anche il salato. Così dopo il mio classico latte freddo e cereali, mi sbaffo il wuster, fatto a fetta e lo speck con il pane nero. Effettivamente non è male finire con la bocca salata, la colazione, al posto del dolce. Il wuster della colazione si va a scontrare con quello della sera, così per tutto il giorno, mi maledico. Oggi è la giornata della fortezza di Salisburgo, quindi entriamo nella stazione per prendere la funicolare che porta su. La si può fare tranquillamente anche a piedi ma è suggestivo prenderla e comunque nel biglietto è compresa la visita alle sale principali della fortezza, alla torre di avvistamento e ai vari musei che ci sono. Il biglietto costa veramente poco per quello che da. In pochissimo siamo su, anche perché il tragitto è veramente corto. Da su la vista è spettacolare. Si vede tutta Salisburgo. Nel cielo non c’è una nuvola. Mi guardo in giro. Questa fortezza medioevale una volta era sede dei principi e arcivescovi. Nel corso della storia non venne mai espugnata dai nemici. Mi affaccio e inizio a fotografare, mi giro e non vedo Antonio. E’ rimasto a 20 metri da me. Ah già soffre di vertigini. “Peccato”, gli urlo, “la visuale da qui è stupenda”. Mi guarda male. Finite le foto panoramiche iniziamo il nostro tour. A parte tutti i musei visti con reperti della prima guerra mondiale, la cosa che mi è piaciuta di più è stata la torre di avvistamento con la camera delle torture. Anche dalla torre si vede tutta Salisburgo, anche la parte dietro, che prima era impossibile vedere. Nonostante fossimo ben in alto, qui Antonio è salito. Non soffrendo di vertigini non ne capisco il meccanismo e quindi non ho capito come quel luogo non scatenasse in lui la stessa paura di prima. Finito il nostro giro è già ora di pranzo. Io non avevo assolutamente fame e quindi, quando ci siamo seduto fuori in un tavolino, nell’unico ristorante che c’era, io ho preso solo un brezel, il loro tipico pane con forma ad anello ed estremità annodate. Antonio invece, si è mangiato patatine fritte e wuster alla griglia. Se andiamo avanti così, penso io, diventeremo dei wuster ambulanti. La discesa la facciamo a piedi. Costeggiamo così tutta la fortezza. C’è scritto sui depliant che per salire a piedi ci vuole mezz’ora, ma scendere è un’altra cosa. In poco tempo siamo di nuovo nella piazza principale, dove stanno tutti giocando a scacchi. C’è anche una scacchiera pitturata per terra con degli scacchi enormi. Adesso che ci penso è l’unica cosa che mi ricordo della visita della città, di quando ero piccola. La giornata è proseguita in totale relax fino alla sera, che ci ha visto addentare della carne, finalmente, per poi ritirarsi sotto le coperte pronti per la seconda tappa del nostro giro.